Per colui che vede il proprio Sè espanso nell'universo e l'universo nel proprio Sè, e che vede il superiore e l'inferiore; la pace fondata sulla conoscenza non viene mai a mancare.

- Charaka Samhita Sha. V. 20 -



lunedì 7 novembre 2016

LA SINUSITE DAL PUNTO DI VISTA AYURVEDICO

La sinusite cronica è una malattia delle vie respiratorie superiori. Alcune delle ossa del naso e del viso hanno spazi vuoti, chiamati seni. Il rivestimento interno dei seni sono mucose morbide. A causa di diversi fattori la membrana mucosa si infiamma. Questo porta ad accumulo di muco o catarro in queste cavità. A tempo debito, germi (batteri) si sviluppano e portano alla manifestazione della sinusite. A causa del fluido nasale pesanti ripetutamente espulso si crea infezione nelle ossa della regione del seno che diventano rigonfie, dolenti e pruriginose.

Cause di sinusite:
  • fumo di sigaretta
  • lavorare in ambienti polverosi, zona inquinata, zona umida
  • esposizione a sostanze irritanti, droghe chimiche
  • carenza nutrizionale
  • debole immunità
  • lavorare in climi freddi
  • cambiamenti atmosferici
  • polipi nasali
  • fibrosi cistica
  • blocco nella tromba di Eustachio dell’orecchio
  • fattore genetico
Classificazione per localizzazione
  • Sinusite frontale- Dolori alle cavità nasali frontali, sopra gli occhicon mal di testa (emicrania)
  • Sinusite mascellare – Dolori al mascellare, mal di denti, e mal di testa.
  • Sinusite etmoidale – Dolori, infezioni dietro l’occhio e parte superiore del naso.
  • Sinusite sfenoidale- Dolori dietro gli occhi fino al vertice del cranio, o posteriormente.
Concetto ayurvedico di sinusite
Secondo l’Ayurveda la causa principale di sinusite è una digestione impropria. Agni (fuoco digestivo) è basso, il cibo non è adeguatamente digerito.In questo caso il cibo introdotto nel corpo e non digerito completamente crea tossina che contribuisce a formare catarro.Si crea così l’infiammazione nasale. A causa di agni debole del sistema digestivo kapha viene sbilanciato e iperproduce liquido. Kapha dosha è responsabile della produzione di catarro. L’accumulo di catarro disturba il vata. Il vata prahna viene agitato dalla ostruzione creata dal catarro.
Pitta è un trasportatore delle sostanze nutritive metaboliche. Pitta è ‘responsabile della creazione del fuoco digestivo. La carenza del dosha del fuoco, che perde il controllo sul fuoco digestivo del agni, l’eccessivo kapha ed il vata disturbato portano alla manifestazione di muco e respiro viziato. Tutti questi tre dosha contribuiscono alla sinusite.

Rimedi casalinghi
In mezzo litro di acqua + 20 gr di sale + un cucchiaino di curcuma. Far bollire per cinque minuti, prendere ripetutamente.
Tè di basilico foglia di Tulsi e foglie di menta.
Coriandolo e cumino in polvere bollito nel latte.

Dieta:
Assumere cibo leggero, facile per la digestione. Bere acqua tiepida.
Evitare: – cibo pesante, alimenti fermentati, cibi congestizi, cibo troppo caldo o troppo freddo, acido, carni, latte, cagliata, gelati, dolci, torte, ecc
Evitare le bevande alcoliche.

Trattamenti ayurvedici di base:
La sinusite cronica è curata dall’ Ayurveda con i seguenti trattamenti
Nasya: è un processo di inalazione con oli medicati. Gocce di olio medicato vengono inseriti in ciascuna narice. Risulta perfettamente efficace se fatto nelle prime ore del mattino.
ShiroAbhyanga: oleazione della testa con massaggioa base di oli medicati dimostra di essere utile per prevenire l’accumulo di kapha nelle cavità dei seni paranasali.
JalaNeti: – Per la pulizia del kapha accumulato nel percorso nasale (pulizia delle cavità nasali yogica)
Basti: – Corregge il vata, ovvero clistere. (panchakarma)
Vaman: – Rimuove il kapha viziato attraverso il vomito indotto. (panchakarma)

mercoledì 8 giugno 2016

KALARIPPAYAT...OVE LO YOGA SI FONDE NEL MITO DELLE ARTI BELLICHE

Il Kalarippayat è la forma di espressione corporea più elegante, complessa, bella e vigorosa che l`India abbia mai creato. Il kalarippayat è l`arte marziale che unisce combattimento, yoga, meditazione, massaggio, medicina ayurvedica e fine conoscenza dei punti vitali del corpo umano. Un`arte marziale aperta anche alle donne.
Questa arte di difesa personale affonda le sue radici storiche in un lontano passato dove il mito delle arti belliche dravidiche e le gesta delle caste guerriere brhaminiche sono protagoniste.
Una leggenda sussurra che sia addirittura la madre di tutte le arti marziali. Il monaco buddhista indiano Bodhidharma l`avrebbe introdotta in Cina nel V secolo d.C. a Shaolin.
Oggigiorno questa antica arte si è preservata nelle regioni del Kerala e del Tamil Nadu.
Antichi e nuovi guerrieri iniziano la loro giornata di allenamento con esercizi di pranayama accompagnati da movimenti per sciogliere e scaldare il corpo, praticano il saluto kalari vandhanam, ovvero alla divinità tutelare del kalari, ai maestri, ai guardiani delle otto direzioni e poi alla natura ed iniziano infine l`allenamento marziale.
L`allenamento o Meypayattu consiste in una fluida sequenza di posture, al pari di molte asana dello yoga, poi gli allievi si allenano con lunghi bastoni o vadi e poi con bastoni più corti, Muchann, che implicano movimenti molto rapidi e forte capacità di controllo. Man mano che l`allievo acquisisce maggiore sicurezza potrà utilizzare via via armi sempre più pericolose: i bastoni a due curve come gli otta, il kaadari o pugnale, l`urami, la lunga e flessibile spada.
Nel kalarippayat fondamentale è il rapporto tra Maestro e discepolo: si instaura una sorta di relazione padre/madre-figlio nella quale il maestro conosce perfettamente le qualità fisiche dell`allievo, ma anche ogni aspetto della sua mente, cuore e carattere al pari di un guru dello yoga.
Gli aspiranti allievi diventano tali già dall`età di sette anni, età in cui vengono introdotti alla pratica posturale, respiratoria e alle prime tecniche semplificate di combattimento. Verso i quindici anni vengono condotti alla conosenza di alcuni punti marma del corpo e del massaggio. Nel tempo il maestro svelerà all`allievo i segreti del kalari introducendolo alla lotta solo quando riconoscerà in lui controllo e stabilità mentale.
Come lo yoga è finalizzato al risveglio della kundalini shakti, il kalari è volto al risveglio della potenza, la shakti interiore. La si risveglia attraverso pratiche respiratorie controllate, le stesse del pranayama yogico.
Queste respirazioni sono però dette swasam.
Nel sud dell`India si narra di antichi maestri di kalarippayat che erano al pari dei siddha: autentici risvegliati dotati di poteri paranormali o sovrumani, acquisiti come frutto dell`esercizio marziale, della respirazione e della meditazione. Sapevano curare quasi magicamente le malattie, le ferite e le contusioni, le fratture ecc...Tutto ciò grazie alla conoscenza dei punti marmani, punti vitali del corpo, ed erano in grado di colpire in combattimento quelli dell`avversario mettendolo al tappeto.
Erano uomini coraggiosi in grado di affrontare ogni situazione e di rianimare corpi esanimi senza mai trasgredire i codici dei loro lignaggi. Ciò li rendeva simili più a semidei che agli uomini a cui il coraggio spesso viene meno.

lunedì 16 maggio 2016

INCONTRO CON IL MAESTRO VALIHARA DAS: "IL RAPPORTO TRA MAESTRO E DISCEPOLO NELLA TRADIZIONE VEDICA "

Secondo l'opinione definitiva di tutte le scritture rivelate, il maestro spirituale non è differente da Krsna. Sri Krsna nella forma del maestro spirituale, libera i suoi devoti."
Caitanya Caritamrta

Il Maestro Valihara Das ci condurrà nel tema del rapporto tra Maestro e discepolo, come riconoscere un Maestro e quale feeling si instaura nel cuore.

Si terminerà la serata con Kirtan e canti di mantra e il prasad (offerta del cibo).
Si consiglia la conferma di partecipazione chiamando al 346 9914223
Incontro ad offerta libera.

CHI È VALIHARA DAS
Valihara das è un esperto maestro di bhakti yoga ed appartiene ad una autentica linea di maestri spirituali nella antica tradizione Vedica conosciuta come Vaisnavismo.
Egli è il fondatore dell’associazione Bhakti Yoga Sanga e da molti anni insegna la scienza dello yoga .
Valihara das nacque a Milano nel 1955. In gioventù la ricerca di una visione spirituale della realtà lo portò ad entrare in contatto con Srila A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, che nel 1975 lo accettò come discepolo e gli diede il nome di Valihara das.
Per molti anni , seguendo le istruzioni del suo maestro, egli si impegnò a far conoscere i principi della filosofia della bhakti a numerose persone partecipando attivamente alla missione fondata dal suo maestro.
Nel 1993 Valihara das durante un viaggio a Vrindavana, India, incontrò Srila Bhaktivaibhava Puri Goswami Maharaja, grande anima realizzata, confratello spirituale e amico di Srila Prabhupada. Valihara das fu colpito dalla sua profondità spirituale e divenne suo discepolo, ricevendo da lui profonde e ispiranti istruzioni spirituali e una forte determinazione spirituale a propagare sempre di più il messaggio di Sri Caitanya .
Sri Caitanya Mahaprabhu è conosciuto come il più grande e famoso sostenitore del bhakti yoga nella storia recente. Egli volle distribuire a tutti, senza alcuna discriminazione di casta, credo e razza, la scienza della bhakti. Cinquecento anni fa Egli diede l’istruzione: “Per mio ordine diventa guru (maestro spirituale) e libera tutti dalla sofferenza”.
Srila A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada e Srila Bhaktivaibhava Puri Goswami Maharaja trasferirono questa istruzione a tutti i loro discepoli.Valihara das ha preso questa istruzione come la sua vita ed anima, ed ora cerca di guidare i sinceri ricercatori dello spirito verso la realizzazione della propria identità spirituale e verso una vita più felice e serena.

SCRUB AL SALE ROSA HIMALAYANO CANFORA ED EUCALIPTO

Ciao a tutti!
Oggi vi propongo una ricettina semplice semplice per la pulizia della vostra pelle e che aiuta anche il drenaggio dei liquidi in eccesso.
Solitamente propongo questo scrub nei trattamenti estetici ayurvedici come il Garshan  (tipico massaggio ayurvedico con guanti di seta seguito da scrub).

RICETTA

Sale rosa Himalayano q.b.
Canfora in granuli 
5 gocce di olio essenziale di eucalipto 
Olio di sesamo per emulsionare


La canfora è un chetone terpenico che si ricava generalmente dal legno dell’albero di Cinnamomum canfora appartenente alla famiglia delle Lauraceae o sinteticamente a partire dall’olio di trementina. Si presenta sotto forma di cristalli bianco lucenti solubili in olio o in alcol dal caratteristico odore aromatico. La canfora è assorbita velocemente attraverso la pelle e nel sito di applicazione produce una sensazione di raffreddamento simile a quella generata dal mentolo. A piccole dosi ha proprietà rinfrescanti, a dosaggi elevati ha azione stimolante e rubefacente. Aiuta a tonificare i tessuti e ne favorisce la traspirazione oltre che ad eliminare le tossine sottocutanee ed è particolarmente indicata per i disturbi Vata e Kapha.
Insieme al sale rosa dell'Hymalaya si presenta quindi come un potente drenante. Si drenante. Infatti anche il sale rosa dell'Hymalaya ha la caratteristica di limitare la ritenzione idrica nel corpo e anzi ha la capacità di ridurla in quanto raccoglie umidità disidratando i tessuti. Inoltre se scaldato ha anche la capacità di alleviare dolori in genere, dolori articolari, gonfiori e allevia anche la cellulite.
L’olio essenziale di Eucalipto (Eucalyptus globulus) è un eccellente antisettico polmonare; si usa per risolvere infiammazioni e disinfettare l’apparato respiratorio, urogenitale ed intestinale. Ha inoltre proprietà diuretiche, febbrifughe, antimalariche ed ipoglicemizzanti.
È un tonificante utile in caso di insufficienza circolatoria. Come tutti gli oli essenziali balsamici, in uso esterno, ha proprietà stimolanti sul sistema circolatorio. Se diluito in olio di Mandorle dolci e massaggiato sugli arti inferiori, è un rimedio di particolare beneficio per piedi, caviglie e gambe stanche o gonfie; riattiva la circolazione e rinfresca, consigliato soprattutto durante la stagione estiva.
Questo scrub è particolarmente indicato per le pelli Vata e Kapha.

venerdì 1 aprile 2016

UPASTHĀTĀ - LA FIGURA DEL TERAPISTA AYURVEDICO





Questa medicina storica è un patrimonio incalcolabile di osservazioni, catalogazioni, esperienze che è arrivato a noi arricchito nei secoli, ma fedele allo spirito iniziale e ai contenuti che ne costituiscono la base: uno di questi cardini, che può apparire a una prima osservazione banale è il Catuṣpāda. Catuṣpāda è un termine sanscrito che possiamo tradurre con “ciò che è diviso in quattro parti” e definisce i quattro pāda, ovvero i quattro pilastri ritenuti sostanziali per la realizzazione di una terapia: 

il medico,
il terapista,
il medicamento e…
il paziente!

Possiamo ben immaginare che il paziente e il medico siano presenti, non facciamo fatica a pensare che dopo una diagnosi siano prescritti medicinali, ma fermi restando alla nostra esperienza occidentale abbiamo invece problemi a immaginare tout de suite una figura, quella del terapista, che in India invece affianca sempre il medico ayurvedico. È necessario allora  parlare di questa figura, del terapista, ovvero dell’ upasthātā e degli attributi e capacità che lo qualificano. Il termine sanscrito upasthātā indica colui che sta vicino, colui che è prossimo: non si intende qui solo una vicinanza fisica e professionale, ma anche e soprattutto una vicinanza umana, nel senso più nobile del termine. In India vengono richieste particolari doti ai terapisti :

Anurakta (devoto, votato) ovvero deve saper sviluppare e coltivare un rapporto con le persone di grande sensibilità, attenzione e partecipazione,

Śuci(puro) ovvero deve mantenere la purezza del corpo, della mente e dell’animo. Infatti prima di imparare a prendersi cura delle persone il terapista in India  deve imparare a curare la propria persona, deve mantenersi in buona salute con buone regole di vita quotidiana, Buddhimān (intelligente) ovvero deve sviluppare la propria buddhi, l’intelletto superiore, deve poter ragionare con la mente e la coscienza,

Dakṣa (brillante, svelto nel capire, competente) ovvero deve imparare a sviluppare la propria capacità di osservazione critica e a usare con efficienza la propria formazione culturale e gli strumenti che questa gli offre.

Realizzare questi quattro punti è molto complesso, ma è ancora più difficile arrivare a sentire fino in fondo queste qualità, continuare a perfezionarle e soprattutto completarle con quei particolari che sono ovvi in India ma che in occidente diventano al contrario quasi irrealizzabili se non si ha la fortuna di incontrare chi riesce a guidarci in questa direzione. Questi particolari sono quelli che appartengono alla coscienza di un individuo perché appartenente a un popolo specifico che vive immerso nella sua cultura e con le sue tradizioni.
La formazione per le discipline tradizionali, in India, può seguire due percorsi diversi: il primo è quello consueto che richiede un lungo periodo di formazione e osservazione accanto a terapisti già formati o vicino a medici e terapisti che lavorano insieme, il secondo è quello ormai sempre più diffuso, che possiamo definire accademico e che prevede un percorso in scuole strutturate come in occidente con insegnanti, esami e diploma finale…

Il futuro upasthātā  può perciò scegliere in realtà tre strade diverse:

1. può seguire la tradizione e imparare con l’osservazione,
2. può frequentare scuole specializzate con un iter formativo analogo a quello delle nostre scuole tecniche,
3. può rendere complementari i due percorsi e ottenere il migliore dei risultati!

Chi studia per diventare terapista ayurvedico in Europa (e così nel resto del mondo fuori dalla grande terra di Bhārata) fa percorsi necessariamente più brevi e non ha l’opportunità di assorbire la cultura in cui l’āyurveda nasce. Inoltre in India, terminati gli studi, è normale svolgere il compito di terapista con un medico ayurvedico che è in grado di raffinare il terapista, mentre in occidente la complementarietà del lavoro di medico e terapista è praticamente un’utopia.
Un buon terapista ayurvedico oltre a possedere la capacità di usare tutti gli strumenti che i suoi studi gli offrono, oltre a essere il migliore osservatore possibile, oltre a sapere usare le proprie mani con una sensibilità da artista, oltre a possedere un profondo rispetto per ciò che compie e per chi incontra deve conoscere perciò “tutto quello che viene prima” ovvero quello che l’indiano medio respira durante gli anni della sua gioventù e che gli permettono di essere un elemento della società in cui vive.
Un buon terapista deve saper creare le migliori condizioni in cui operare (scelta e cura degli spazi e degli strumenti), quali iniziative devono essere eseguite prima e dopo il proprio lavoro (da quelle fondamentali come la scelta degli olii a quelle più raffinate come la realizzazione del migliore ambiente per accogliere), quali abitudini personali seguire per mantenersi in perfetta forma fisica e mentale (pratiche di rigenerazione come āsana o prāṇāyāma), pescando dalla migliore tradizione indiana.
Le conquiste fatte a seguito dello studio o dell’esperienza vanno interiorizzate: il compito più arduo è trasformare la pratica in un momento non solo di trasformazione fisica, ma anche emotiva e scoprire senza fretta, impiegando il tempo necessario, tutti quei particolari dati per scontati che sono invece la ricchezza della tradizione dell’autentico upasthātā: la metamorfosi di uno “spazio” in un “luogo”, della “gente che si incrocia” in “persone che si incontrano”, degli “oggetti silenziosi che si usano” in “simboli espressivi che parlano”, del “lavoro ripetitivo” in “dedizione cosciente al proprio compito”.
Siamo di fronte a un’opportunità di continuo sviluppo personale e professionale in cui anche la scelta e l’orientamento del droni (il tavolo di legno su cui il terapista lavora) è specchio della filosofia e della storia religiosa di un popolo, riflesso di una ricerca di armonia a tutti i livelli. Al terapista viene inoltre richiesto di saper trasformare la persona di cui si prende cura in un elemento attivo e partecipe del percorso per il benessere: il terapista deve saper chiedere alla persona di cui si occupa di porre attenzione alla dieta, osservare i cambiamenti del corpo affinché tutto diventi parte di un’indagine per trovare il migliore degli equilibri.

martedì 22 marzo 2016

PERCORSI BENESSERE


L'incontro di massaggi e differenti trattamenti in un unico pacchetto agiscono sinergicamente per ottenere un risultato migliore sul proprio benessere.
I percorsi proposti prevedono comunque una consulenza ayurvedica per individuare il percorso ottimale per la persona ed eventualmente arricchirlo o personalizzarlo.
Io personalmente consiglio sempre un percorso minimo da 5 o 7 sedute per vedere i primi risultati, ma se ritenessi, a seconda dei casi,di aumentare le sedute, esse possono variare.


"Regalatevi una coccola...regalatevi un percorso benessere..."


PERCORSO RELAX
volto a rilassare corpo e mente
Massaggio Abhyangam
Marma Abhyangam
Shirodhara


PERCORSO ARTICOLARE
per il benessere delle articolazioni
Abhyangham
Vasti localizzato
Massaggio Pranico Keraliano e Pinda Sweda
Muri Abhyangam


PERCORSO SNELLENTE
per sentirsi in forma e aiutare la perdita del volume corporeo
Abhyangam
Neerabhyangam
Massaggio pranico Keraliano e Udgarshana


PERCORSO ANTICELLULITE
per il benessere e la depurazione della tua pelle
Neerabhyangam
Massaggio Pranico Keraliano e Udvartana
Massaggio Pranico Keraliano e Pinda Sweda


PERCORSO RINGIOVANENTE VISO E TESTA
Per migliorare il tono della pelle rinvigorire il cuoio capelluto e organi di senso 
Massaggio Mukabhyanga del viso
Ubatan al viso
Massaggio Shiroabhyanga alla testa
Hennè neutro
Nasyam
Netra vasti
Karnapoorana



Per info costi e prenotazioni medicinaperlanima@hotmail.it

VASANTA: PRIMAVERA E RINASCITA


La Primara: Vasanta - La stagione della Rinascita...

La primavera è la stagione della rinascita....
Tutto ciò che abbiamo accumulato (ama - tossine) durante l'inverno, con il freddo della stagione si è cristallizzato, è importante aiutare il nostro organismo nel naturale processo di scioglimento attraverso il fuoco/calore (tejas) per purifare e rinvigorire il sistema psicofisico. È la stagione in cui Kapha dosha è al massimo della fase di accumulo, ma in cui i sensi si risvegliano...si lascia alle spalle il buio dell'inverno, si ha voglia di tornare alla vita, alla natura, ci si rinnova.
Secondo l'Ayurveda è importante assumere cibi leggeri e cotti, dal sapore amaro per favorire la depurazione del fegato e perchè no fare brevi digiuni o semi digiuni a base di frutta e verdura, cominciare a indossare indumenti meno pesanti, fare un bagno caldo ogni due giorni con curcuma e sale o zenzero per permettere il rinnovamento della pelle e favorire la sudorazione per espellere tossine, oliazioni (snehana) sul corpo attraverso automassaggi con olio medicato o di sesamo (taila) secondo la propria costituzione o sottoporsi a trattamenti ayurvedici come il massaggio Abhyangam o ancora meglio il massaggio drenante Neerabhyangam. Aiutare i nostri sensi che si risvegliano: udito, olfatto, gusto e vista con oli e trattamenti specifici come il Netra vasti, lavaggi nasali, fumigazioni per le orecchie e pulizia del cavo orale.
Anche la mente va coccolata con sadhana specifiche come posture yoga che aumentino il fuoco interiore, come ad esempio il Surya Namaskar, respirazioni di fuoco come la respirazione a narici alternate o Kapalbati, evitare fumo e alcolici.

giovedì 17 marzo 2016

LA RASATURA DELLA TESTA

La testa è considerata la parte più importante del corpo umano. Essa contiene quattro dei cinque organi sensoriali del corpo e sette delle nove aperture corporee attraverso le quali possiamo interagire con il mondo esterno.
Sulla sommità del capo troviamo il luogo sacro per eccellenza, il sahasrara chakra attraverso cui l`anima entra nel corpo al momento della nascita ed esce dal corpo al momento della morte.
In Ayurveda esistono almeno cinque trattamenti dedicati al capo che sono delicati e allo stesso tempo ristoratori. I più rinomati in Occidente sono sicuramente lo Shirodhara, la colata di olio tiepido sulla fronte, lo Shirovasti, che richiede la rasatura della testa e l'applicazione di un cappello di pelle entro il quale viene inserito dell'olio che viene lentamente assorbito dal capo.
Queste terapie sono efficaci per risolvere problemi legati al cuore, insonnia, disturbi mentali, esaurimento, emicrania, debolezza delle articolazioni, paralisi, malattie del sangue,degli occhi, calvizie e imbiancamento precoce dei ccapelli...
Nel caso particolare dello Shirovasti, tradizionalmente è prevista la rasatura dei capelli.( non  praticata in  Occidente ).
La rasatura del capo appartiene alla tradizione vedica dall'inizio dei tempi , i saggi e gli yogi applicavano la sadhana della rasatura della testa nel momento più indicato che corrisponde alla sera di luna piena.
Riflettendo lo spirito della tradizione vedica, queste azioni hanno radici nella saggezza del vivere e nel  rispetto della natura.
In Ayurveda i capelli sono considerati un tessuto secondario del corpo. Essi sono in relazione con il Kapha dosha e vengono prodotti direttamente dal tessuto del midollo osseo e dal  sistema nervoso centrale del corpo. Quindi il fatto di tagliare i capelli al momento giusto stimola il sistema nervoso centrale, rinnova il tessuto del midollo osseo e nel sistema corporeo permette la rivitalizzazione di tutto ciò che riguarda Kapha. Quando Kapha viene ringiovanito, gli altri dosha di solito tornano in armonia.
Siccome la rasatura della testa rinnova anche il sistema corpo/mente e lo spirito, i saggi e gli yogi di un tempo si liberavano coscientemente dei tessuti vecchi per fare crescere i nuovi, spogliandosi dell'attaccamento al corpo fisico per rivolgere l'attenzione al sè immortale e senza tempo. Simboleggiando il sacrificio di se stessi, la rasatura dei capelli è un mezzo efficace per illuminare lo spirito.
Poiché i capelli portano anche le esperienze delle varie vite e sono intimamente connessi con ahamkara, tagliarli significa che si toglie molto di più dei capelli. Se i capelli vengono tagliati nelle circostanze appropriate, diventa più facile percepire il proprio eterno spirito di innocenza così spesso offuscato da una abbondante capigliatura.
Una testa rasata rende più facile l'osservazione dello spirito puro e disadorno del sé interiore in modo che si possa venire a patti con la verità che esso esprime e stimarlo per quel che veramente è.

sabato 20 febbraio 2016

LA VOLONTÀ PER ARMONIZZARE LA PROPRIA PERSONALITÀ

Tra la volontà e il sè esiste un legame strettissimo: attraverso la volontà il sè agisce sulle funzioni psichiche dominandole e orientandole. Il processo inconscio non possiede volontà propria e nemmeno può essere valutato mentalmente e razionalmente, ma possiamo sperimentare una dinamica per la quale esso agisce spontaneamente attraverso gli input che gli abbiamo trasmesso con il nostro pensiero cosciente.
Il pensiero cosciente sceglie gli obiettivi, seleziona i dati, calcola, valuta e giunge a conclusioni e mette in moto il processo inconscio.
Attraverso la volontà si può produrre un’immagine mentale dello scopo che si vuole raggiungere, e questa mette in moto nell’inconscio un’attività diretta a realizzare tale scopo, sebbene noi rimaniamo all’oscuro del modo in cui opera.
Il pensiero cosciente non è, perciò, l'esecutore materiale del risultato, ma colui che ne attiva i meccanismi. Dunque agire qui ed ora nel modo più eticamente corretto possibile (dharmya) permette poi al processo inconscio di raggiungere spontaneamente, senza eccessiva fatica, i migliori risultati.
Ecco perché è importante occuparsi con fiducia del qui ed ora; perché gli obiettivi verranno conseguiti dal processo inconscio che avremo messo in moto.
La volontà è ottimamente usata quando si limita a fornire l’impulso iniziale e lascia che l’elaborazione inconscia segua naturalmente e spontaneamente. Per avere pieno e duraturo successo nell'utilizzo della volontà, dobbiamo operare attraverso di essa, non direttamente applicata allo scopo finale, bensì alla gestione delle funzioni psichiche.
Infatti, il miglior utilizzo della volontà lo si ottiene quando attraverso di essa si attivano e si dirigono tutte le forze del mondo psichico.
Fede, disciplina, coraggio, interesse, ottimismo, tendere ad uno scopo evolutivo e costruttivo, tutto ciò rafforza la volontà e la vitalità.
Futilità, pessimismo, frustrazione, rancore, risentimento, invidia, gelosia, paure, nostalgie, attivano dinamiche distruttive che riducono la forza di volontà e la vitalità e di conseguenza anche la prospettiva della vita. Con questo tipo di attitudine si accelera anche il processo dell'invecchiamento.
Cosa fare per sviluppare la determinazione?
La determinazione è uno stato mentale che può essere coltivato e sviluppato con la giusta predisposizione. Come tutti gli stati mentali, la determinazione scaturisce da fattori psicoemotivi e attitudinali ben precisi, tra questi:
1. Desiderio. In presenza di un desiderio intenso e ben definito è più facile sviluppare e mantenere la determinazione nel perseguire l'obiettivo che ci si è prefissi.
2. Definizione di scopo. Sapere ciò che si vuole è la prima cosa e, forse, la più importante, per sviluppare la determinazione. Una forte motivazione aiuta a superare difficoltà iniziali e imprevisti.
3. Fiducia in se stessi. II credere nella propria capacità di poter conseguire un risultato, incoraggia a seguire il piano con determinazione.
4. Definizione di programmi. Programmi organizzati, sebbene inizialmente non accurati e non ben centrati, incoraggiano la determinazione e rafforzano la perseveranza.
5. Conoscenza accurata. Sapere che i propri progetti sono saldamente fondati su di una conoscenza approfondita della realtà e su esperienze di natura evolutiva, favorisce la determinazione. La «presunzione», al contrario del «sapere», indebolisce la determinazione.
6. Cooperazione. L'empatia, la tolleranza, la comprensione e la cooperazione armonica tra i membri del gruppo rafforzano la determinazione di ciascun membro o componente di quest'ultimo.
7. Forza di volontà e progettualità. L'esercizio costante di coltivare la volontà e di concentrare i propri pensieri – in maniera proattiva - sulla definizione di un progetto, al fine di programmare l'ottenimento degli obiettivi che ci siamo prefissi, sviluppa la determinazione.
8. Abitudine. La determinazione è il diretto risultato della nostra impostazione mentale, di un’abitudine, ovvero di una deliberata impostazione all'azione adottata come criterio costante di comportamento consapevole. La nostra conformazione mentale si modifica a seconda delle azioni che compiamo e che, seppur inconsciamente, influenzano la struttura psichica con modelli comportamentali che vengono assorbiti e automaticamente riproposti secondo gli schemi adottati ed acquisiti.



  1. " in verità si dice anche che l'uomo è fatto di desiderio: ma quale è il desiderio tale è la volontà, quale è la volontà tale è l'azione, quale è l'azione tale ne è il risultato che ne consegue...." Upanisad