Per colui che vede il proprio Sè espanso nell'universo e l'universo nel proprio Sè, e che vede il superiore e l'inferiore; la pace fondata sulla conoscenza non viene mai a mancare.

- Charaka Samhita Sha. V. 20 -



giovedì 9 gennaio 2014

TRA ORIENTE ED OCCIDENTE - L'influenza della filosofia indiana su quella greca

Come è noto nel corso dell'evoluzione storica spesso è accaduto che la tendenza dell'umanità a classificare, per ignoranza, entro determinati schemi, tutto ciò che appare " diverso-inconsueto-anomalo ", si è poi tradotta in scelte di ordine politico, usate per giustificare ideologicamente l'assoggettamento o addirittura lo sterminio di interi popoli. Si pensi alla pratica del colonialismo, fatta passare per una missione umanitaria e civilizzatrice a vantaggio delle nazioni più arretrate. L'ideologia, in sostanza, speculava su difficoltà di tipo gnoseologico. In genere poi, la storiografia moderna e contemporanea interpreta la filosofia greco-latina basandosi sui pregiudizi evoluzionistici correnti senza considerare minimamente il punto di vista degli antichi e fra molti stereotipi che abbiamo saputo creare, vi è quello secondo cui i modi di pensare occidentale e orientale sarebbero del tutto divergenti: si è convinti che la filosofia orientale di filosofare sarebbe prevalentemente caratterizzato da idealismo, irrazionalismo, introversione, cosmocentrismo e pessimismo ai quali si opporrebbero il materialismo, il razionalismo, l'estroversione, l'antropocentrismo e l'ottimismo ritenuti tipici dell'Occidente.
La formazione stessa della classicità greca risale alla contrapposizione tra Oriente ed Occidente, codificata nel V secolo a.C. da Erodoto di Alicarnasso, che sottolinea con estrema chiarezza le diversità che l'Asia rappresentava allora rispetto alla Grecia classica, matrice indiscussa dell'intera civiltà occidentale. Le frontiere che Erodoto fissa per il mondo asiatico sono rimaste quasi invariate, dopo 25 secoli, nonostante la violenza degli avvenimenti storici e la profondità degli sterminati sconvolgimenti che hanno investito i popoli dell'Eurasia. Erodoto vive in un'epoca nella quale Atene raggiunge il più alto livello culturale, tanto da riassumere in sè tutta la "grecità" classica. Da questa base Erodoto stabilisce e giudica le differenze sociali, morali e di comportamento rispetto all'Asia, dando vita ad uno schema che resta quasi immutato nel corso dei secoli, anche se l'intreccio degli avvenimenti storici si complica  di continuo per il mutare dei protagonisti, per l'intrecciarsi di spinte e di reazioni eterogenee, perfino per il continuo mutare o modificarsi delle zone "calde" ove l'Europa e l'Asia si incontrano e si scontrano. Eppure Erodoto aveva sul mondo asiatico conoscenze quanto mai incomplete e si muoveva mentalmente in una geografia distorta e monca: conosceva con molta precisione il mondo scitico, semitico e persiano, ma ignorava addirittura l'esistenza dell'Estremo Oriente.
Le ragioni di questa diversità sono state ricercate in varie direzioni. Il sistema "dispotico" dei regni e degli imperi asiatici s'intreccia con la rilevante diversità degli atteggiamenti religiosi: l'indagine conoscitiva che in Oriente è rivolta soprattutto all'interiorità dell'uomo, si rivolge in Occidente al mondo esterno e al cosmo.
Nonostante tutto la filosofia o pensiero induista ha però molte convergenze con la filosofia dei grandi filosofi greci, come ad esempio Aristotele, Archimede, Parmenide, Eraclito e Platone in particolare. Tutti questi filosofi hanno in comune la ricerca della verità universale, ovvero il fondamento ultimo dei macro e microcosmi e degli strumenti percettivi usati per scoprire il senso della realtà in modo sistematico e analitico.
L'unica differenza è che la filosofia greca si sviluppò molto più tardi rispetto a quella induista. Partendo dal VI secolo a.C., la filosofia greca partì in forma del tutto embrionale, dal mito all'indagine razionale dell'universo, della natura e della storia.
A partire dal V secolo a. C. nacquero con Parmenide, con i Sofisti e gli Eleati poi, degli elementi epistemologici e razionali veri e propri.
In India invece, le scuole che cercavano i fondamenti ultimi dell'universo e che corrispondono, dal punto tipologico, al periodo iniziale del pensiero ellenico, raggiunsero livelli assai elevati con la Samhita vedica e soprattutto con la dottrina delle Upanishad all'incirca nei secoli VI-V a. C. Già dal I e II secolo della nostra Era, in India, era fortemente sentita l'esigenza di distinguere gli elementi ontologici, sotenologici ed epistemologici di tutta la realtà: la filosofia veniva considerata nell'Arthashastra come una scienza particolare e insieme una fonte di unità dei metodi di ricerca delle diverse scuole filosofiche. Il pensiero greco non arrivò mai a concepire la sola posizione che permette di formulare il dubbio ontologico sull'esistenza della realtà: il porre cioè la coscienza come soggetto che è indipendente dal mondo. Questa posizione fu invece congeniale al pensiero indiano, nella cui storia la negazione del mondo è la tendenza dominante. Inoltre i filosofi occidentali sapranno aggiungere a posizioni ontologiche analoghe a quelle del pensiero indiano, soltanto dopo 2000 anni, a volte con esplicite dipendenze e mai in modo moralmente convincente.
Nel pensiero indiano, proprio come in quello greco-romano, lo studio filosofico funzionava nel quadro di correnti religiose a carattere preanalitico.
Per meglio porre qualche esempio concreto è opportuno iniziare dalla definizione del termine  per Eraclito e dalla metafisica di Platone a confronto con le dottrine induiste.
Logos letteralmente significa Parola,  nella quale è contenuta l'idea di qualche cosa di eletto e spirituale e che veniva usata fin dall'epoca di Omero ad esprimere un'attività dello spirito. Per Eraclito questa parola è l'Uno, ovvero l'unità, tutte le cose.
Tale termine trova il suo equivalente in un nome largamente usato nel linguaggio metafisico dell'India, per indicare un'entità che ha le stesse caratteristiche del Logos, e questo nome è Brahman. Esso trae origine dal culto sacrificale e, nei testi vedici più antichi, aveva il valore di "parola sacra" con particolare riferimento al suono "Aum" (om), che i sacerdoti, nel cantare gli inni durante i sacrifici, ripetevano dopo ciascun verso. Poichè si attribuiva grande potenza al sacrificio e si riteneva che la parola sacra pronunciata dal sacerdote operasse con magico potere su tutto l'universo, così il Primo Principio si metteva in relazione d'identità con la formula sacrificale ed il termine Brahman veniva usato quale punto d'attacco dell'idea per giungere alla conoscenza dell'Inconoscibile.
Logos e Brahman hanno entrambi il significato di Parola con un certo valore di sacralità e stanno entrambi ad indicare l'Ente preso in senso astratto e quale espressione di supremo Vero. Questa entità divina è cosmica e psichica al tempo stesso. La conoscenza del Logos quindi trova piena corrispondenza nelle dottrine dell'Antico Oriente.
Secondo il pensiero indiano, il tempo ha carattere ciclico ed il mondo storico e le forme che si sviluppano nel tempo, viste sul piano dei ritmi cosmici, non hanno valore, perchè mancano di durata e si definiscono per l'esistenza dei contrari: il tempo e l'eternità sono due aspetti di un unico ente che riunisce in sè tutte le polarità e opposizioni, e chi accede ad esso passa al di là del dolore in quanto trascende i contrari, ovvero l'espressione della limitatezza e della sofferenza. Il raggiungimento di questa verità o conoscenza, considerata il più alto vertice del sapere e via di salvazione, non è nè agevole nè accessibile a tutti. E' agibile solo da pochi eletti attraverso l'insegnamento di un maestro e l'aiuto della fede.
Anche Eraclito accenna al Logos alludendo a questa dottrina metafisica. Eraclito come la dottrina induista considera il sonno anche da un punto di vista metafisico: l'uomo durante il sonno, separato dal mondo sensibile, vive d'intensa vita spirituale e crea sogni e si immedesima con l'Assoluto. In tale stato egli supera questo mondo di illusorie differenziazioni, ritrova il Vero e con esso la suprema batitudine. Al risveglio perde coscienza di quanto è avvenuto durante il sonno e dimentica la Luce della Verità, per lasciarsi nuovamente ingannare dall'apparenza delle cose transitorie.
Lo stato di veglia si presenta così, dal punto di vista metafisico, simile allo stato di sonno dal punto di vista fisico.
Per di più concorde con le Upanishad, gli uomini erano da considerarsi un tutto sociale, non viventi una vita indipendente ed esclusiva.
Come si può notare i punti di contatto tra la speculazione eraclitea e quella indiana non sono pochi nè trascurabili. Dal concetto dell'Uno-tutto all'identità dell'anima universale con quella individuale, dalla Teoria degli Opposti al loro superamentoattraverso la conoscenza dell'Essere, allo stato dello spirito durante il sonno, abbiamo tutta una catena di concordanze che involgono l'intero sistema, le quali, per il loro particolare carattere, non possono essere effetto del caso e non vanno quindi sottovalutate, ciò perchè anche se mancano documenti validi a provare l'esistenza di rapporti culturali tra India e Grecia, non mancano elementi che possano farci ritenere probabile la loro esistenza. Infatti a Oriente era rivolta tutta la Grecia classica ed in questa direzione si volse la brama di conquista di Alessandro Magno. Quando l'esercito macedone giunse nella Valle dell'Indo, non potè resistere nel rendere omaggio ai templi di Dioniso, riconoscendo come tali quelli dedicati a Siva.
Alessandro Magno, che non era uno sprovveduto, soprattutto culturalmente, quando mosse verso Oriente, portò al suo seguito un gran numero di studiosi e sapienti, molti dei quali rimasero in India per studiare le scuole ascetiche degli Yogi, dei quali li impressionarono la forza ascetica e l'indifferenza al dolore.
In seguito alla spedizione di Alessandro Magno si instaurarono relazioni diplomatiche tra i regni ellenistici e l'Impero Maurya, che nel III secolo a.C. si estendeva dall'India nord-orientale verso Occidente, in Afganisthan. Quest'ultimo regno era governato dall'imperatore Asoka, che pentito per le stragi causate ai popoli da lui conquistati, si impegnò per l'affermazione del bene come moralità e religiosità da buddhista laico, diffondendo tra le popolazioni, scritti su steli di roccia, editti che invitavano a seguire i principi e le pratiche buddhiste, come ad esempio il rispetto del Dharma e la non violenza. Tra le popolazioni che conobbero gli editti di Asoka, anche quelle del mondo ellenico, dove il Grande Re Buddhista inviò dei missionari.
Se dalla Grecia si guardava l'Oriente, dall'impero Maurya, si guardava allo stesso modo l'Occiedente, per cui se gli interlocutori preferenziali dei greci erano gli indiani, questi ultimi ricambiavano per indiscutibile affinità, l'attenzione ai popoli e alle culture indoeuropee della Persia e abche della Grecia.
Anche nel caso di Platone, sono tante le concordanze tra le sue opere e le Upanishad. Queste corrispondenze sono al quanto significative in quanto mostrano fondamentali affinità tra la metafisica greca e la sapienza vedica, che la spiritualità indù risulta avere una portata metafisica di prim'ordine e che certi aspetti dottrinari presenti nella filosofia greca, sono articolati con maggior completezza nei testi indù. Inoltre l'esame delle corrispondenze tra Platonismo e antico Induismo, fornisce un contributo indispensabile allo studio comparato delle grandi correnti spirituali dell'umanità.
Analogie sono presenti, mettendo a confronto il Simposio e la Brhadarabyaka Upanishad, sul noto mito dell'androgino.
Nel simposio si narra che in origine vi era "l'androgino, un sesso a sè", complementare dei sessi maschile e femminile che poi venne tagliato in due. Per le Upanishad questo essere era l'Atman in forma di Purusha, ovvero un uomo cosmico e primordiale, anch'esso complementare dei due sessi, venne diviso in due corpi separati.
Simili immagini mitologiche costituiscono punti di riferimento essenziali per la dottrina che ha trovato nell'antichità occidentale e orientale innumerevoli applicazioni "scientifiche" e "artistiche".
Altro simbolo in comune è l'Albero Rovesciato che allude a contenuti metafisici e cosmologici. Ha le radici fissate in cielo per indicare il principio fondante, ovvero la conoscenza verso l'alto, spiegando così l'originato a partire dalla "causa celeste"; i rami tendono verso il basso rappresentando lo svolgersi del divenire e della molteplicità. Questo simbolismo appare in Platone nel Timeo e nella Katha Upanishad riferito all'uomo nel primo caso e all'universo nel secondo. Nonostante i diversi contesti di applicazione, è straordinaria l'attivazione di una stessa immagine simbolica, tramite la quale l'analogia dei contenuti acquista maggior significato se si tiene conto della corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, tipica della cultura indù e greca.
Altra analogia è quella del Cavallo Bianco, per le Upanishad, e del "Carro Alato di Fedro" per Platone, per la quale l'uomo dovrebbe tenere la mente sotto perfetto controllo per acquistare un potere completo sui sensi così come "il guidatore padroneggia i cavalli addestrati", ciò sta quindi ad indicare che l'essenza più universale dell'uomo non è la componente psichica, ma quella intellettuale-spirituale, l'Atman.


 "Riconosci il sè come il maestro del carro
e il corpo come il carro.
Riconosci la facoltà di saggezza
come auriga e la mente come redini.
I sensi sono i cavalli
e gli oggetti dei sensi sono l'arena.
Così dicono i saggi."
- Katha Upanishad III (3-4)



Anche nel simbolismo del Sole, proposto da Platone per esporre aspetti dottrinari di grande rilevanza è utilizzato nei testi sacri indù, considerato sotto molteplici aspetti, metafisici e psicologici.
Inoltre per Platone, così come per Eraclito è importante la tendenza all'universo, all'Uno-tutto, il superamento del dolore, delle passioni, dei desideri, degli attaccamenti attraverso la conoscenza dell'Essere...
I rferimenti presenti nelle opere di Platone fanno inoltre riferimento ad una Sapienza arcaica, originaria, che sarebbe compito della filosofia riscoprire e far rivivere, spesso si ricollegano a tempi lontani ormai poco conosciuti, compaiono con insistenza mettendo in risalto elementi del passato appartenenti a dimensioni che sfuggono alle consuete ricerche storiografiche.
Platone parla degli "antichi", che erano più valenti di noi e vivevano più vicino agli dèi. Essi ci hanno tramandato la rivelazione secondo cui ogni cosa porta in sè connaturato illimite e limite: aspetto della dottrina tradizionale dell'integrazione degli opposti.
Nel Filebo è chiarito che tale importante dottrina, essendo stata tramandata, non può essere un prodotto della filosofia greca, la quale si limita a raccogliere e rivalutare un insegnamento ben noto a coloro che dimoravano nei pressi degli dèi.
In particolare si fa riferimento agli "antichi" considerando Egitto e Siria come civiltà superiori, le cui conoscenze si sarebbero diffuse anche in altre aree, India compresa. Gli indiani stessi considerano i loro testi sacri, i Veda, di origine non-umana e tramandati oralmente con dedizione e fedeltà, per più milleni, da "antichi" Saggi.
Il Platonismo risulta così essere una filosofia non originale che si affianca ad altre forme di pensiero.


Martelli Michea anno 2004/2005

2 commenti:

  1. Ciao,
    sto scrivendo una tesi di laurea sull'argomento. Trovo quest'articolo molto interessante. Posso avere a riguardo una bibliografia di riferimento? Un suggerimento di letture? Approfondimenti vari? Links? Riferimenti insomma? Grazie!

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    Risposte
    1. Ciao!
      Ai tempi quando feci questa tesina cercai su Art Dossier n.8 che è una rivista d'arte. Su alcuni siti che però ho visto non sono più esistenti, come www.geopolis.it
      www.homolaicus.com
      e su alcuni libri di storia e filosofia indiana. Molte poi sono informazioni apprese durante le lezioni universitarie del prof. Pier Giorgio Franci dell'università di Bologna.
      Se dovessi trovare altre fonti te lo faccio sapere.

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